domenica 28 agosto 2016

Burkini sì? Burkini no?

Oggi su Biblioteca al femminile – che pur ponendosi prevalentemente come blog letterario è uno spazio che mira a occuparsi della donna a tutto tondo – non si parlerà di letteratura, bensì di un argomento piuttosto scottante che in quest’ultimo mese ha invaso media e social network, come possiamo per esempio vedere qui e qui, facendo molto parlare di sé e arrivando a toccare vertici abissali di ridicolaggine



Ora sembra che il Consiglio di stato francese abbia finalmente dichiarato illegale il provvedimento, ma l’improvviso divieto istituito da alcuni comuni francesi di presentarsi in spiaggia indossando il burkini merita di essere ancora discusso e non dimenticato tanto facilmente. Il veto imposto alla tenuta da spiaggia delle donne musulmane non è infatti una questione da sottovalutare, anche in merito alle numerose polemiche scatenate da parte degli appartenenti a due fondamentali correnti idealistiche. Da una parte, i nuovi sostenitori improvvisati dell’emancipazione femminile (che probabilmente fino al giorno prima – e forse tuttora – sostenevano con fermezza la teoria arcaica dell’uomo lavoratore e della donna regina del focolare) che accusano il burkini di essere, così come il velo, simbolo della sottomissione della donna nei paesi di religione islamica e si dichiarano assolutamente favorevoli a questa scelta che, ai loro occhi, appare come un primo passo verso l’indipendenza femminile e la liberazione dalla minaccia islamica. Dall’altra parte, coloro che in nome della loro “mentalità aperta” e dei loro (lodevoli, per carità) ideali di pace e amore e “siamo tutti belli e ci vogliamo tutti bene” condannano duramente la scelta perché, islamofoba e irrispettosa di tutto ciò che è diverso, vieta a queste donne di scegliere il proprio abbigliamento e manifestare liberamente la propria cultura e religione.

Diciamo che, in linea di massima, la mia opinione è decisamente più in linea con quella dei novelli figli dei fiori piuttosto che dei nuovi paladini della laicità dello Stato (che però diventa improvvisamente cattolico quando si parla di togliere i crocifissi dalle aule) e di una discutibile indipendenza femminile; tuttavia, ritengo che entrambe le fazioni sottovalutino alcuni elementi essenziali che fanno capo all’intera vicenda. Il divieto del burkini solleva infatti due questioni molto importanti: da una parte, il problema dell’effettivo livello di indipendenza in un’ipotetica libera scelta e, dall’altra, lo scontro fra sistemi di valori e la cosiddetta “legge del più forte”.

Ecco in cosa consiste il burkini.

Personalmente rifiuto ogni forma di umiltà e sottomissione all’uomo – di cui mi ritengo un individuo alla pari – e a maggior ragione, in qualità di atea quale mi considero, a un dio che non ho mai visto in volto. Tuttavia, rispetto la libertà di culto e di scelta e penso che chiunque sia libero di scegliere in cosa credere e cosa fare del proprio corpo.
È ormai risaputo che per molte donne di religione islamica quella di indossare il velo (e con esso il burkini) rappresenta a tutti gli effetti una scelta – anche se si incontrano opinioni divergenti fra chi parla di libertà di scelta, chi considera il velo indispensabile per manifestare la propria devozione a Dio, e il sito Islamitalia che sostiene che in realtà il Corano non menzioni la necessità per una donna di coprirsi il volto o i capelli e che il velo fosse semplicemente un indumento di uso comune allo scopo di distinguere le nobildonne dalle schiave ancora prima della stesura del testo sacro e sia stato in seguito strumentalizzato (se non addirittura portato all’eccesso nella forma del niqab e del burqa) da fondamentalismi più o meno radicati e da una società di forte stampo patriarcale. Ad ogni modo, anche se la maggior parte delle musulmane nel mondo gode della libertà di scelta, sappiamo come purtroppo numerose altre donne siano costrette dai loro mariti o, peggio ancora, dalla legge a nascondersi sotto veli sempre più pesanti – come testimonia questa interessantissima campagna nata in Iran in cui i mariti hanno scelto di indossare il velo per protesta a sostegno delle proprie mogli. La questione però è: sappiamo se le donne che incontriamo ogni giorno per strada indossano quel velo per scelta o per costrizione? E soprattutto, anche nel caso di scelta, fino a che punto può essere considerata effettivamente tale e non frutto di un tacito condizionamento sociale?

Una panoramica delle diverse tipologie di velo e di quali sono considerate più appropriate in alcuni dei più importanti paesi di religione islamica.

Per intenderci, penso che una donna che sceglie di indossare il velo (o, in questo caso, il burkini – fermo restando che una persona, per i più diversi motivi, può benissimo desiderare di andare a farsi un giro al mare senza mostrare a tutti le sue grazie) non sia in nulla diversa da una ragazza italiana di provincia che sceglie di sposarsi giovane e figliare come non ci fosse un domani senza aspirare a una determinata carriera lavorativa e che critica la tua scelta di non avere figli perché “non sai cosa vuol dire”, o da una ragazza giapponese che – dopo aver dato alla luce dei figli – si eclissa dal mondo del lavoro per dedicarsi anima e corpo alla cura della casa e della famiglia. Ognuna di queste donne ha scelto da sé la propria vita, lo ha fatto consenzientemente e ne è felice, e probabilmente nessuno le avrebbe mai impedito di compiere una scelta diversa. Eppure possiamo davvero dire che si tratti di una scelta libera da ogni sorta di condizionamento? Per alcune probabilmente sì, ma molte altre avranno agito in quel modo perché è quello che fanno tutte, perché così sono state educate, perché avevano paura di deludere le aspettative di qualcuno, o semplicemente perché non conoscono un’alternativa e questa è l’unica possibilità concreta che si presenta ai loro occhi. Una scelta libera non sarà mai completamente tale finché esisterà un modello da seguire ed è evidente come ancora oggi – e non solo nei paesi a prevalenza islamica – non si sia riusciti a liberarsi completamente da quello storicamente imposto alle donne. Tuttavia, per quanto libera o inconsciamente condizionata, una scelta rimane pur sempre tale e finché rappresenterà una fonte di piacere e serenità per la persona che la compie merita di essere rispettata.

Non vedo nessuna differenza...

A questo punto entra dunque in gioco la seconda grande questione sollevata dal veto posto al burkini sulle spiagge francesi: è corretto proibirne l’utilizzo? La risposta è semplice: no. 
Sia che si tratti di una scelta che di una imposizione, porre alle donne musulmane un divieto sull’utilizzo di un indumento (finché rientra nelle norme di legge e lascia scoperto il volto) è sbagliato. Nel primo caso, perché si impedirebbe a queste donne di esercitare il proprio diritto di libertà di scelta sulla base di tutta una serie di preconcetti frutto di una società non meno patriarcale di quella che si tende ad accusare e che vede la donna come una figura debole e incapace di scegliere ciò che è meglio per sé, e di pregiudizi di natura razzista che condannano senza mezzi termini un’azione non in linea con il proprio sistema di valori. Nel secondo caso, perché la norma non faciliterebbe affatto la vita delle presunte vittime, finendo piuttosto con l’isolarle ancora di più e ostacolarne ogni forma di integrazione. La legge dell’occhio per occhio dente per dente non ha mai portato a grandi risultati e rispondere a una presunta imposizione con un’altra imposizione nella direzione contraria non è certo la soluzione ma casomai un’aggravante che rischia di alimentare incomprensioni e rivalità, e che anziché punire l’oppressore si scaglia ancora una volta contro la sua vittima.

Vietare il burkini in spiaggia non è quindi la soluzione al problema della sottomissione femminile ma soltanto un modo per arginarlo, per nasconderlo ai nostri occhi illudendoci e compiacendoci di averlo risolto, in nome della nostra ormai storica “superiorità di occidentali che abbiamo a tutti da insegnare”. Ma prima di continuare ad andare in giro per il mondo a pretendere di educare e “civilizzare” ogni cultura straniera e “arretrata” – la storia non insegnerà MAI nulla all’essere umano – dovremmo fermaci un attimo a pensare e cercare di capire (non dovrebbe essere nemmeno così difficile) che laddove si vada a ledere la libertà di scelta ed espressione di un individuo si commette SEMPRE un gravissimo errore nei confronti dell’umanità, nonché un reato ai sensi delle nostre tanto decantate Costituzioni. E allora perché non provare a capire cosa queste donne veramente vogliono? Perché, anziché vietare loro ciò che dall’altra parte viene loro imposto, finendo così con l’agire nello stesso identico modo dei loro presunti oppressori, non impegnarci a costruire una società dove possano veramente essere libere di scegliere? “Ma è difficile.” “Ma non è facile capire cosa vogliono.” “Ma a noi non danno le stesse risposte che danno ai loro mariti.” No, queste NON sono le risposte. Tutto quello che vale la pena fare è difficile (cit.), ma proprio perché è importante, proprio perché ne vale la pena, non possiamo liquidarlo con un semplice “ma è difficile”.



E allora qual è il problema? Il problema è che come sempre predichiamo bene e razzoliamo male. Il problema è che anche nel nostro evoluto occidente, ancora oggi, l’uomo e la società si sentono in diritto di esercitare il controllo sulla vita di una donna. Il problema è che quello che pretendiamo di insegnare agli altri è qualcosa che nemmeno noi siamo ancora riusciti a imparare. Non illudiamoci, come vogliono farci credere, di aver conquistato la parità fra i sessi, perché purtroppo la strada per riuscirci è ancora lunga. Non crediamo a quelli che ci dicono che “non abbiamo bisogno del femminismo”, perché il solo fatto che lo temano così tanto è la prova che dobbiamo ancora lottare in suo favore.



4 commenti:

  1. Sono assolutamente d'accordo. Nel momento in cui mi vieti il burkini ti stai imponendo alla stessa maniera di chi mi impone di metterlo.
    Se è possibile accettare il velo di libera scelta senza essere condizionati in alcuna maniera? Sicuramente no. Allo stesso modo, io mi vergogno se indosso una gonna troppo corta perchè, per quanto mi consideri "avanzata", un residuo della mia educazione cristiana rimane e mi sento nuda, scoperta (non aiutano i commenti, ovvio). Nessuno è libero, siamo sempre condizionati in qualunque maniera. Certo, da qui a puntarmi contro un mitra obbligandomi a mettere un velo di acqua ne passa...
    Il sessismo è infido e strisciante, così come il razzismo. Si nasconde in piena luce ed è difficile, talvolta, da riconoscere. Dico solo un'ultima cosa: spesso i mostri li creiamo noi.

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    1. Sono perfettamente d'accordo con te. E i mostri che creiamo noi, ahimè, sono i più difficili da sconfiggere :(

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  2. Ciao! Capito adesso sul tuo bellissimo blog che mi riprometto di spulciare per bene appena avrò più tempo. Intanto inevitabilmente l'occhio mi è caduto su questo post.
    Sono del tutto concorde con quello che dici, e sono una ferma sostenitrice di un'idea di femminismo che si coniughi con il concetto di libertà assoluta per la donna: libertà di sposarsi, avere mille figli e non lavorare, libertà di non sposarsi non avere figli e scegliere la carriera, libertà di non indossare il velo e libertà di indossarlo. La libertà individuale è l'obiettivo supremo che il femminismo dovrebbe garantire.
    Trovo poi molto interessante la tua riflessione sui condizionamenti che comunque cadono sulla testa delle donne, anche quando proclamano una propria scelta come libera e consapevole scelta. In generale possiamo dire di vivere nella società dei condizionamenti perenni, ma per le donne la cosa è come sempre ancora più sentita, perché dovremo sempre "farci perdonare" il nostro sesso soggiacendo, anche inconsapevolmente, agli standard che le società di turno ci impongono: che si tratti di indossare il velo, o si tratti di apparire sempre esteticamente impeccabili e disponibili (ma non troppo attenzione, o il rischio è di farci additare per una poco di buono), la sostanza poco cambia. Ed è quanto mai raro, a tal punto siamo condizionate, trovare anche una solidarietà femminile in tutto questo.
    Pertanto la mia idea è che dovremmo tutti sforzarci di lasciare assoluta libertà di scelta a chi abbiamo di fronte, ma al contempo (e questo dovrebbe essere compito innanzitutto delle scuole, dello Stato, della famiglia anche nel piccolo, e utopisticamente dalla società nel grande) fornire gli strumenti culturali affinché la nostra scelta posso dirsi sempre assolutamente libera da condizionamenti.

    Ci sarebbe ancora tantissimo da dire, ma mi fermo qui per il momento :) Spero di poter tornare presto a ragionare con te. Ciao!

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    1. Ciao e grazie per essere passata dal mio blog :)
      Sono d'accordo con te: la libertà dell'individuo è fondamentale, ma altrettanto lo è il creare una cultura di base che educhi all'affermazione della propria indipendenza nel rispetto dei diritti e dell'indipendenza altrui. Purtroppo un mondo del genere oggi – che ci vantiamo tanto di aver aggiunto alti livelli di indipendenza, uguaglianza ed emancipazione – è ancora utopia :(

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